Libertà di dis-informazione?

” I popoli non dovrebbero aver paura dei propri governi: sono i governi che dovrebbero aver paura dei popoli”

Il bellissimo monologo del video è tratto dal film V per Vendetta, del 2005. Il film è tratto dal graphic novel V for Vendetta scritta da Alan Moore e illustrata da David Lloyd, adattata per il grande schermo dai fratelli Wachowski. La storia è ambientata in una Gran Bretagna futuristica e distopica, governata da un regime repressivo guidato da Adam Sutler. Un misterioso individuo, con il volto sempre coperto da una maschera, vi si oppone.

La rete è uno strumento incredibilmente potente di democrazia popolare, paragonabile al periodo in cui la stampa diffuse la cultura dalle classi più abbienti a quelle più povere. E infatti internet e le sue mille forme di divulgazione dell’informazione e di creazione e diffusione delle idee comincia a far paura a molti: a regimi autoritari, che non riescono ad applicare la censura in maniera efficace e sistematica; alle multinazionali televisive, che hanno perso il monopolio dell’informazione e dell’intrattenimento; ai quotidiani tradizionali (spesso controllati da potenti gruppi industriali). E proprio per questo che credo la pena valga la pena di dedicare del tempo a vedere il seguente documentario.


Dal debito privato…al debito pubblico!

Nel corso degli ultimi mesi, sopratutto in Italia, la crisi economica, che campeggiava sui giornali ogni giorno, sembrerebbe essere svanita nel nulla.

Prometto di tornare a breve sull’argomento e, per ora, godetevi questo bellissimo video sul debito pubblico americano (http://www.iousathemovie.com/).

In effetti, per ora, quello che è stato fatto non è altro che trasferire (temporaneamente?) il debito delle famiglie americane al settore pubblico….siamo sicuri che servirà a qualcosa?

La crisi del credito…

…spiegata in un video bellissimo e chiaro. In inglese.

Alla prossima.

Tempi…moderni?

La crisi economica attuale, se fosse confinata al solo settore finanziario, non ci interesserebbe e, sopratutto, spaventerebbe così tanto! Ciò che, ovviamente, ci preoccupa in misura maggiore, è la trasmissione del crollo dei mercati finanziari all’economia reale, ossia alla produzione, al lavoro e ai consumi. Che consumi e produzione siano già crollati, ce lo sentiamo ripetere già da parecchi mesi. Ma è solo da pochi mesi che cominciamo ad essere seriamente preoccupati del nostro posto di lavoro. A proposito di lavoro, globalizzazione e crisi economica, potremmo fare le seguenti riflessioni:

– l’ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization) nel 2001 ha permesso l’ingresso di oltre un miliardo di lavoratori all’interno del sistema economico mondiale. Questo ha avuto come effetto il crollo dei prezzi dei beni commerciabili (abbigliamento, prodotti elettronici, giocattoli, etc..) e la pressione al ribasso sui salari (visto che le aziende occidentali hanno avuto la possibilità e l’incentivo a delocalizzare la loro produzione)

– questo ha indotto i paesi occidentali ad estendere rapporti contrattuali atipici e precari, per evitare il collasso del proprio sistema lavorativo

– come conseguenza, per mantenere elevato il livello dei consumi, è stato esteso al di sopra di un limite “ragionevole” il ricorso al credito al consumo (tra cui il fenomeno dei mutui “sub-prime”). In effetti il problema di sostenibilità dell’economia globale si cela tutto nella questione di come il reddito sempre più basso dei lavoratori occidentali possa sostenere la crescente produzione importata dalla Cina. Per soddisfare l’equazione, la variabile su cui agire è solo quella dei prezzi. Ossia per comprare tanti beni con sempre meno soldi, questi beni devono costare sempre meno. Il che si traduce nello spettro di cui tutte le aziende hanno paura: la deflazione.

– deflazione vuol dire prezzi più bassi e margini di profitto tendenti a zero (se non negativi); e tra questi prezzi che scendono, sopresa!!! scendono anche i salari.

– a questo punto arriva l’aspetto interessante: come può riprendere la domanda di beni in USA e in Europa, dove a salire dovrebbero essere i risparmi? Il sospetto è che la crescita riprenderà vigorosa ad Oriente (Asia e Pacifico) e in America Latina, ma nei paesi occidentali..ahi ahi ahi….più che tempi moderni, si prospettano tempi difficili….

Lezione magistrale

Bella e simpatica “lezione” universitaria di Julio Velasco (ex ct della nazionale italiana maschile di pallavolo)

Per capire che la vita non è un campionato, e altro….

“La vita è quella cosa che ti accade mentre sei impegnato a fare altri progetti”

E venne il giorno…

11 marzo 2018.

Si ricordano ancora, a distanza di quasi 10 anni, gli inizi della più grave crisi economica degli ultimi 100 anni. Una crisi che ha fatto impallidire i ricordi del 1929. Tutto ebbe inizio con la crisi dei muti sub-prime americani e il collasso del mercato immobiliare. Si pensava potesse finire. Ma poi venne la crisi finanziaria che coinvolse gli istituti bancari di mezzo mondo. Si disse che il governo Bush sbagliò a far fallire Lehman Brothers, ma quando ci si accorse dei buchi presenti in bilancio non si potè che constatare la lungimiranza di quel governo. Da lì in poi, si diceva, ogni azzardo morale non sarebbe stato più tollerato. Era necessario far rientrare entro livelli tollerabili il rischio diffuso nel sistema finanziario globale. Eppure la situazione precipitò: non bastarono le forti politiche espansive attuate dalla Fed e dalle banche centrali di tutto il mondo e il cumularsi di deficit e debiti pubblici sempre più grossi. Eppure l’economia non solo non si rimetteva in moto, ma peggiorava a vista d’occhio. Un esercito di disoccupati indebitati inizio ad aggirarsi per l’America e l’Europa, e le pressioni sui governi per porre rimedio alla crisi si tramutò in politiche demagogiche e poco sostenibili: sempre più debito pubblico e sempre meno mercato (con le nazionalizzazioni che coinvolsero dapprima le banche e in seguito interi settori produttivi dell’economia). Si diceva che sarebbe stato temporaneo. Ma, a differenza di quel che avvene nei paesi scandinavi a inizio anni ’90 (quando lo stato nazionalizzò le banche per poi rivenderle sul mercato) stavolta il collasso del sistema era globale e non c’era quasi nessuna speranza. Quasi…perchè l’unica speranza rimaneva la Cina e l’Asia. E in effetti, per un po’, le cose sembrarono andare in quella direzione. Le misure adottate dal governo cinese sembravano essere sufficienti a sostenere la domanda interna. Ma il colosso cinese necessitava di tassi di crescita a doppia cifra per far si che la crescita economica sostenesse il flusso migratorio dalle campagne alle città. Dopo circa un paio d’anni, nell’estate del 2011, ci si accorse a un certo punto che i paesi emergenti potevano fare a meno dei paesi occidentali. E da lì in poi l’idea di un deja vu in Europa e quello che non potevi immaginarti sarebbe successo in America: la rinuncia alla democrazia e al mercato e la nascita di nuovi totalitarismi e risposte economiche autarchiche. Sembrava troppo scontato per prevederlo solo due anni prima. Poi, quando la crisi prese il sopravvento anche in Asia, nel 2014, le tensioni fra mondo occidentale e estremo oriente si acuirono sempre più. Il resto è storia di oggi: una guerra sino-americana che non sappiamo ancora quando potrà finire.

Con la speranza che le generazioni future possano imparare dai nostri errori…

L’anno del Dragone?

Mentre tutti i paesi occidentali sono alle prese con problemi economici di portata epocale (ogni settimana i dati macroeconomici sono i peggiori prima degli ultimi 10 anni, poi degli ultimi 20, ora degli ultimi 30…), la Cina cerca di capire se il suo ruolo in tutto questo marasma sarà di vittima passiva o di leader attiva. Nessuno sa ancora con certezza come tutta la faccenda si concluderà (perchè, come tutte le storie, anche questa avrà un giorno un suo epilogo). Qual è la possibilità che la Cina traghetti il mondo fuori da questa crisi? La questione principale è se la domanda interna della classe media cinese riuscirà a compensare il crollo delle esportazioni verso i paesi del mondo “consumatori” (USA in testa). Scommessa difficile ma non impossibile. Sempre che non scoppino disordini sociali (e conseguente richiesta di maggiore democrazia)……

Nei prossimi giorni cercheremo di dare una spiegazione un po’ diversa dal solito su questa crisi e sulla sua possibile evoluzione. Per ora, notiamo solo che il Dragone cinese si sta dimostrando inarrestabile….

The Dark Side of the Boom.

Il lato oscuro del boom (economico) è come la faccia oscura della luna, che, nel suo moto di rivoluzione attorno alla terra ci impedisce di vederne la totalità della superficie (a causa del fatto che il moto di rotazione è approsimativamente uguale a quello di rivoluzione). Allo stesso modo, quando emerge un boom economico tanto vigoroso quanto quello degli ultimi anni, rimane spesso nell’ombra il complesso meccanismo di squilibri strutturali che lo hanno sostenuto. Questo è probabilmente quello che è successo a partire dagli anni ’90. Sostenere la domanda aggregata attraverso l’indebitamento sistematico ha portato a gravi squilibri nella bilancia commerciale e nel bilancio pubblico americani (il famoso twin deficit). In sostanza, non si può sistematicamente continuare a consumare più di quanto non si riesca a produrre, a meno che…

A meno che qualcuno non finanzi la nostra parte di consumi che non è sorretta dai nostri guadagni personali. A colmare questa lacuna, ci hanno pensato la Cina e la Fed. La prima ha continuamente sovvenzionato i consumi americani con l’acquisto di buoni del tesoro, la seconda con una politica monetaria estremamente rilassata. Ma ora che i nodi son venuti al pettine, chi riuscirà a traghettare gli USA (e, a questo punto, il resto del mondo) al di fuori di quella che si paventa come una delle più gravi crisi economiche di sempre (eh si, perchè tutti lo pensano ma nessuno ha il coraggio di dirlo)? La banca centrale americana ha già fatto la sua parta, ma fin’ora è servito a poco. L’amministrazione Obama tenterà la carta dell’ennessimo maxi-piano di salvataggio a breve (ostruzionismo repubblicano permettendo).

Eppure, questa volta, la salvezza potrebbe arrivare da molto lontano, e per la precisione dalla Cina. Infatti, l’impero di mezzo aveva già adottato misure restrittive qualche anno fa per far rallentare la propria economia eccessivamente surriscaldata. Purtroppo il timing non è stato ei più felici, perchè dopo poco sono venuti a galla i problemi del settore finanziario americano e il crollo dell’immobiliare. A questo punto, il governo di Pechino potrebbe avere tutte le carte in regola per far ripartire l’economia. E, in questo momento, ha un “vantaggio” rispetto alle democrazie occidentali: ossia proprio il fatto di non essere una democrazia e quindi di non doversi dilungare in estenuanti procedure di ricerca del consenso per approvare determinate misure.

Volgendo lo sguardo un po’ più in là dell’immediato, ci vengono in mente due considerazioni:

(1) il connubio democrazia-capitalismo è sempre più fragile, e a questo punto non è nemmeno chiaro chi causi cosa

(2) che siano questi gli anni di cambiamento di leadership tra USA e Cina e/o India?

Come sempre, siamo spettatori dei tempi che cambiano….

Buon Natale!

Forse il più bel finale natalizio della storia del cinema, tratto dal capolavoro di Capra del 1946 “La vita è meravigliosa” ed ambientato durante la tanto citata crisi del ’29.

La crisi attuale sarà sicuramente dura e le conseguenze, forse, ancora inimmaginabili. Ma come sempre se ne uscirà. Come e quando, però, dipenderà dalla decisioni che verranno adottate. Con la speranza che la lungimiranza abbia la meglio sugli interessi particolari di breve termine.

Dice un proverbio cinese “Se non cambiamo direzione, è probabile che finiremo esattamente dove siamo diretti”

Forse è ora di rivedere i nostri obiettivi e la nostra meta….

Auguri di un Sereno Natale e un Felice Anno  Nuovo a tutti.

Antonio

Capitalismo “Made in China”

Il trailer del video si riferisce al bellissimo documentario del 2005 China Blue, dove Blue sta per blue-jeans, che sono il prodotto della fabbrica dove è ambientata l’intera “vicenda”. La fabbrica del signor Lam, ex capo della polizia della città di Shanxi che, come molti altri suoi connazionali, nell’ultimo decennio si riscopre imprenditore  e inizia a produrre capi d’abbigliamento per conto di multinazionali occidentali.

In un periodo in cui si invoca, a gran voce, il ritorno dell’etica sui mercati finanziari, forse si dovrebbe rivolgere lo sguardo anche all’economia reale. Dove finisce il rapporto di lavoro e inizia lo sfruttamento e la schiavitù? Condizioni di lavoro ritenute ormai da noi impensabili ci vengono riproposte ormai quotidianamente dai mass-media.

Da quando la Cina ha fatto il suo ingresso nel WTO (World Trade Organization) nel 2001, il mondo è stato sommerso dal Made in China, con il risultato che le bilance commerciali dei Paesi ocidentali si sono trovate velocemente in rosso, mentre le banche centrali asiatiche hanno accumulato centinaia di miliardi di dollari in valuta estera. Tutta questa vicenda, per la velocità a cui si è svolta e per le dimensioni assunte, pone tutta una serie di problematiche e interrogativi, che affronteremo uno a uno.

Innanzitutto ci troviamo orami in presenza di forti squilibri commerciali tra Paesi orientati all’esportazione e Paesi dediti sopratutto al consumo e fortemente indebitati. Le tensioni tra questi due gruppi di Paesi si ripropongono di tanto in tanto (ad esempio quando gli USA chiedono alla Cina di rivalutare lo yuan).

In secondo luogo, il “tacito” accordo tra Cina e USA che prevede: elevate esportazioni (supportate da un tasso di cambio favorevole) e elevato risparmio in Cina vs elevato consumo e bassi tassi di interesse in USA. Fin dove questo accordo potrà spingersi nessuno lo sa ancora con certezza. Le aspettative sono di un dollaro americano a forte rischio svalutazione e unn’amministrazione americana che rischia di esportare, nel medio-lungo termine, elevata inflazione nel resto del mondo (mentre nel breve termine lo spettro della deflazione si aggira minaccioso per i Paesi occidentali).

Terzo aspetto, la questione dei diritti dei lavoratori cinesi. In sintesi, l’elevata offerta di manodopera a basso costo e la presenza di uno stato autoritario ha permesso alle aziende multinazionali occidentali di concludere affari d’oro, mantenendo elevati margini di profitto (visto che i costi sono ridotti al minimo e i ricavi mantenuti elevati, dato che questi ultimi derivano da prezzi di vendita “occidentali”).

Tutti equilibri estremamente fragili, che in un mondo ormai globalizzato rischiano di frantumarsi molto in fretta. Sembrerebbe che il capitalismo, nei suoi primi stadi di sviluppo, non riesca davvero ad essere compatibile con un sistema politico democratico. Ma, come ci avverte Naomi Klein nel suo ultimo lavoro (Shock Economy, 2007), il capitalismo nella sua forma più “pura” risulta difficilmente compatibile con la democrazia anche negli stadi successivi di sviluppo. Un’analisi attenta delle democrazie sociali del Nord Europa e dei Paesi Scandinavi in particolare permetterà di riflettere su quest’ultimo aspetto.

La crisi economico-finanziaria in corso ci insegna che un buon mix di capitalismo (che permette di adottare gli incentivi economici giusti) e stato sociale (sotto forma di sussidi di disoccupazione e altri ammortizzatori sociali) sarà la strada da adottare nell’immediato futuro. Sperando che la crisi non prosciughi interamente le casse dello stato. Ma, forse, il futuro ci riserverà invece una nuova forma di organizzazione economica, dove sia la produzione che l’allocazione delle risorse saranno decise da nuove entità giuridiche, a metà strada tra il settore pubblico e il settore privato, dove finalità economiche e interessi pubblici saranno entrambi al centro delle decisioni prese.